Telelavoro per un'azienda estera: si può fare?
Voglio raccontarvi una mia esperienza recente: ho inviato il mio curriculum a un'azienda svizzera che cercava programmatori ed era disposta a valutare la possibilità di telelavoro. In questo periodo i programmatori esperti sono molto richiesti in Europa, quindi molte aziende prendono, o prenderanno, in considerazione questa eventualità.
In realtà, non ho nulla contro lavorare in ufficio, anzi, il contatto quotidiano coi colleghi è per me una gran cosa, quasi irrinunciabile. Pensare di starmene chiuso in casa tutto il giorno a scrivere codice in ciabatte non mi entusiasma più di tanto. Però il lavoro sembrava interessante, e poi dicono che in Svizzera si guadagna bene, per cui ho deciso di tentare.
Il colloquio
Dopo "soli" due mesi mi hanno contattato e mi hanno invitato per un colloquio in sede. Prima di andarci, ho cercato di raccogliere alcune informazioni sulle modalità di lavoro, perché non mi piaceva per niente l'idea di aprire una partita IVA e rinunciare alla comodità dell'assunzione. Ho scoperto su Internet l'EURES, il portale europeo della mobilità professionale. Ho cercato tra i consulenti e ho contattato uno di Bologna e uno di Pescara. Mi hanno risposto prima da Pescara, dicendomi che la partita IVA è l'unico modo di lavorare da remoto per un'azienda estera, poi da Bologna, dicendomi invece che potrei tranquillamente essere assunto regolarmente. Più confusione di prima, insomma.
Ho deciso comunque di accettare il colloquio, anche perché rimborsato, quindi perché non provare? In effetti, una volta lì ho ricevuto sensazioni molto positive: team internazionale, telelavoro già sperimentato, confermata la possibilità di essere assunto e, soprattutto, una proposta economica sensibilmente più alta della media italiana, sebbene assolutamente ordinaria per la Svizzera. Insomma, il colloquio si è concluso con la sensazione di aver trovato un accordo.
Il contratto e le tasse
Due settimane dopo ho ricevuto via e-mail il contratto... in Tedesco. Un bel lordo alto, le detrazioni svizzere e il netto, quasi mille euro al mese in più di quanto prendo in Italia! Però lì ho iniziato a chiedermi: vivo in Italia, lavoro in Italia, com'è possibile non pagare l'IRPEF? E i contributi?
Ho iniziato a cercare su Internet e ho trovato un accordo tra Italia e Svizzera per evitare la doppia tassazione dei redditi. Sono contemplati molti casi particolari, per esempio quei lavoratori vicini al confine, che ogni mattina si alzano e vanno a lavorare in Svizzera. Il mio caso, invece, ricadrebbe nelle norme generali, e dice chiaramente che devo pagare le tasse solo in Italia.
La spiegazione definitiva me l'ha data il call center dell'Agenzia delle Entrate. Un operatore gentilissimo mi ha illustrato ciò che avevo già scoperto da me, e ha aggiunto che avrei dovuto pagare per intero le tasse italiane, ma avrei potuto ottenere un credito di imposta pari all'ammontare delle tasse già detratte all'origine in Svizzera.
In soldoni, il mio reddito sarebbe stato più basso di quanto sembrava all'inizio, perché le tasse italiane sono sensibilmente più alte, ma comunque rimaneva superiore al mio reddito attuale.
È importante notare che questi accordi valgono solo tra Italia e Svizzera. Ci sono accordi anche con altri Paesi, ma non con tutti, per cui in generale c'è il rischio di pagare tutto due volte, vanificando i vantaggi economici di lavorare per un Paese con salari più alti.
Altri aspetti
Restano poi le altre voci, per esempio i contributi previdenziali, versati in Svizzera secondo il contratto. Dovrei pagarli anche in Italia, ma in questo caso non credo sia così facile ottenere il rimborso di quelli svizzeri.
Con l'aiuto di una mia amica traduttrice, abbiamo visto che la parolina magica "tempo indeterminato" non compariva da nessuna parte. Questo semplicemente perché, ho scoperto poi, in Svizzera semplicemente non esiste: tutti i contratti sono a tempo. In compenso hanno un vero sussidio di disoccupazione, per il quale io avrei dovuto pagare i contributi, tra l'altro.
Conclusione
In sostanza, per ottenere un guadagno non si sa poi quanto superiore, avrei dovuto rinunciare al tempo indeterminato, alla tredicesima, al TFR (credo), pagare due volte alcune tasse, il tutto insieme alla spiacevole sensazione di passare la giornata chiuso in casa e dover affrontare un viaggio abbastanza lungo tutti i mesi. Ho deciso perciò di continuare a lavorare in Italia in modo "normale".
La consulente di Pescara mi aveva dato un'informazione sbagliata, ma in fondo mi resta la sensazione che la partita IVA sia il modo migliore di lavorare in remoto per un'azienda estera, almeno finché le leggi non saranno al passo coi tempi. Infatti, quasi tutti i vantaggi di un'assunzione vanno a farsi benedire, quindi tanto vale essere davvero indipendenti e fatturare.
Mi resta la sensazione che, aprendosi al mercato internazionale, noi programmatori non avremo grossi problemi a trovare un lavoro, almeno nel prossimo futuro.